Spingere la motivazione attraverso le nuove tecnologie

Published: Gennaio 10th, 2022

Accade nello studio, ma anche nel lavoro: usare le strategie di evitamento, invece di quelle di apprendimento. Il fenomeno è noto sin dagli anni Ottanta (Covington et Omelich, 1985) e lo conosciamo tutti. Lo fanno i bambini, quando perdono tempo invece di iniziare a fare i compiti, ma anche noi adulti quando ci sottraiamo ad un’attività da compiere.  Altro fenomeno noto è il cosiddetto impegno minimo: fare il minimo sperando di ottenere il massimo risultato, sia negli studi che nel lavoro. Entrambi i fenomeni nascono, ovviamente, negli anni della scuola ed hanno a che fare con la motivazione.

Gli insegnanti lo notano subito: gli alunni motivati scelgono di utilizzare delle strategie che permettono loro di comprendere la materia e di approfondirla, quelli non motivati optano per il principio minimale confidando nella buona sorte. In che modo le nuove tecnologie possono influire su questi processi e quindi sulla motivazione?

Per rispondere a questa domanda occorre una riflessione sulle strategie di apprendimento cognitive, metacognitive e affettive in quanto intimamente legate alle fonti della motivazione (Zimmerman et Schunk, 2008). Sono decenni che la letteratura scientifica si interroga sul tema e diversi studi sono stati compiuti negli anni Ottanta (Weinstein et Mayer, 1986), Novanta (Boulet, Savoie-Zajc et Chévrier, 1996) e Duemila (Zimmerman, 2000; Hrimech, 2000; Pintrich, 2000; Wolfs, 2007; Cartier, 2007; Bégin, 2008). Volendo esemplificare con casi concreti, è comune a tutti l’esperienza delle strategie cognitive che vengono usate per ripetere, elaborare, organizzare il processo di conoscenza (Weinstein et Meyer, 1991). Conoscere una regola di grammatica, per esempio, acquisita per ripetizione, non significa però saperla applicare: per farlo servono quelle conoscenze condizionali che permettono di creare un legame tra la teoria e l’applicazione. Non a caso, gli allievi meno motivati sono proprio quelli che leggono e ripetono, proprio perché risulta mortificante un impegno cognitivo che inizia e finisce con le strategie di ripetizione.

Come si acquistano le conoscenze condizionali? Tramite strategie di generalizzazione di discriminazione: come scriveva Boulet nel 1966, le prime allargano il numero di situazioni ai quali si applica una nozione o una procedura (la più efficace è trovare degli esempi di ciò che si apprende); le strategie di discriminazione, al contrario, consistono nel determinare il caso in cui la nozione insegnata non si applica (sempre Boulet et al, 1996). Con le strategie di elaborazione e di organizzazione (ad esempio riassunti, parafrasi, appunti personali, schemi) la motivazione si riattiva un poco ma solo se – e questo è fondamentale – i suddetti schemi non siano organizzati dal docente ma da chi impara: è chi studia (o lavora) che deve concepire legami e livelli tra le aree. È così che l’attivazione cognitiva diventa più forte e l’apprendimento è dunque maggiore. Le tecnologie usate a scopo didattico aiutano a collegare, a ragionare in modo reticolare, ma vanno ben oltre: arrivano nelle strategie metacognitive, vale a dire impostano il pensiero a pianificare l’attività, ad aggiustare il “tiro” in corso d’opera valutando costantemente l’efficacia delle strategie cognitive che si stanno adottando, ad auto valutare i risultati della propria azione, ma anche a gestire l’apprendimento, il tempo, l’ambiente e le risorse. È chiaro che per un apprendimento “significativo” (meaningful learning), così come lo ha inteso David Jonassen, è l’opposto della memorizzazione: è attivo nel senso che chi lo vive interagisce con l’ambiente, manipola oggetti ed osserva l’esito dell’azione; è costruttivo, intenzionale (goal-directed), cooperativo, autentico, complesso e contestuale.

Con le tecnologie, il processo di apprendimento significativo passa dall’ investigazione all’esplorazione, dalla scrittura al modellamento, alla comunicazione, alla progettazione, alla visualizzazione ed alla valutazione. È vero che non esiste una strategia universale efficace per tutti i tipi di apprendimento e che, per questo, i docenti dovrebbero insegnarne agli alunni tante: sono diverse quelle da usare per attivare una dinamica motivazionale positiva. La loro scelta si situa all’interno di un processo di autoregolazione che implica la metacognizione ed è per questo che è importante che sia chiaro a chi studia quali siano i processi messi in moto dalle varie strategie di apprendimento. Solo così si può imparare a scegliere quale usare in base al tipo di lavoro richiesto. Non c’è dubbio: un docente può insegnare tutte le strategie di apprendimento che vuole ma affinché gli allievi le adottino è necessario che siano motivati a farlo. Gli insegnanti hanno dalla loro parte diversi strumenti per favorire l’utilizzo delle strategie di apprendimento nell’alunno (Weinstein et Hume, 2001) e per favorire l’autoregolazione e l’autonomia (Zimmerman, Bonner et Kovach, 2000) ma alla base resta sempre il nocciolo: nutrire la motivazione.


È fondamentale dunque spiegare come le varie strategie possono facilitare la comprensione, l’acquisizione delle conoscenze: bisogna portare i ragazzi nella metacognizione. Se l’apprendimento è il risultato della dinamica motivazionale, non dimentichiamo che per ottenerlo bisogna volerlo – e questo spesso viene rimesso alla sola volontà dell’alunno anche se così non è – ma anche avere la possibilità di viverlo.  E questo dipende molto dai docenti: senza dubbio la motivazione influenza l’apprendimento di un allievo, ma è anche vero che l’apprendimento (cosa imparare e come) influenza la motivazione.