La figura dello psicologo scolastico nella scuola che riparte in presenza

Published: Settembre 28th, 2021

L’Italia è l’unico Paese europeo che non ha mai attivato un servizio di psicologia scolastica. Eppure, secondo dati statistici, il 50% degli psicologi in Europa lavora, almeno in parte, nelle scuole.

Nella maggior parte dei paesi europei (Austria, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo, Svezia, Slovacchia), lo psicologo scolastico è presente nelle scuole pubbliche per legge e dipende dal ministero dell’educazione o dagli enti locali. Nelle nostre scuole lo psicologo esiste solo quando ha con la scuola un rapporto di lavoro autonomo e temporaneo.

Un passo avanti è stato fatto il 9 ottobre 2020, quando il Ministero dell’Istruzione e il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi firmarono un Protocollo d’intesa per garantire un supporto psicologico al personale scolastico, agli studenti e alle famiglie. In effetti, il 17 luglio, il decreto “Rilancio” (la legge 77/ 2020) aveva inserito l’assistenza psicologica ma i fondi stanziati non erano specifici per tale attività e così, nell’accordo Governo-Sindacati (DM del 6 agosto 2020, art.6 “sostegno psicologico”) si era riusciti a renderla obbligatoria. Come indicato in una nota diffusa il 30 settembre 2020 dal Ministero dell’istruzione, si tratta di un servizio rivolto a tutte le istituzioni scolastiche ed educative statali che ricevono risorse economiche ministeriali.

E così arriviamo ad oggi: finalmente, il 21 settembre 2021, è stata presentata alla Camera una proposta di legge per garantire uno psicologo a tutte le scuole italiane, intesa come presenza stabile e strutturata. Un’esigenza da sempre esistente, aggravata dalla pandemia che ha aumentato in modo sensibile le situazioni di disagio degli studenti ma anche degli adulti che li circondano.

Dal bullismo e cyberbullismo ai disturbi alimentari e comportamentali fino ai bisogni educativi speciali, sono troppe le esigenze dei ragazzi alle quali il sistema scolastico non riesce a rispondere con gli attuali mezzi a disposizione. Così come tanti sono i bisogni dei docenti, in primis avere un supporto per affrontare le problematiche dell’età evolutiva e le difficoltà relazionali esistenti all’interno della classe ma anche imparare a cogliere per tempo ed a gestire il disagio o potenziali patologie.

La psicologia scolastica è sempre passata nel nostro Paese, in secondo piano. In Italia esiste ancora una certa reticenza quando si parla di psicologia, anche perché spesso si sottovaluta il ruolo di prevenzione, ascolto e promozione delle risorse psicologiche di ognuno di noi. Eppure, sono passati un po’ di anni da quando Lightner Witmer, studente di Wilhelm Wundt e James McKeen Cattell, aprì la prima clinica di orientamento psicologico e infantile (nel 1896) all’Università della Pennsylvania. Witmer voleva preparare gli psicologi ad aiutare gli educatori, non si concentrava sui deficit dei bambini ma sull’aiutare a superarli, osservava più i progressi che ciò che ancora bisognava raggiungere. Nel contesto scuola, non si tratta infatti di puntare agli aspetti curativi quanto di entrare nel rapporto tra studenti, docenti e famiglie. Fondamentale infatti, per le scuole, è aiutare i genitori, stressati dalla delicata gestione dei figli, concependoli come alleati e mediatori del cambiamento. Lo aveva capito già, molti anni fa, Gertrude Hildreth psicologa presso la Lincoln School del Teacher’s College, in Columbia, e poi al Brooklyn College di New York che nel 1930 scrisse il primo libro sulla psicologia scolastica (“Servizio psicologico per problemi scolastici”) sottolineando l’importanza della collaborazione con genitori e insegnanti. Spesso tra genitori e docenti la comunicazione, ancora oggi, è difficile. Di questo si è parlato nei giorni scorsi in un importante convegno internazionale ‘Il ruolo dei genitori nella psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza: verso un’alleanza rinnovata’, che ha riunito esperti di moltissimi paesi europei e non solo. Quel che è emerso dai lavori è proprio l’importanza dei modelli di guidance parentale.

Giusto per fare qualche esempio, nel caso dell’autismo, nel Denver o nel PACT (Pre-school Autism Communication Therapy (PACT) si punta a guidare i genitori nella comprensione dei comportamenti del bambino, si insegnano loro strategie di comunicazione e come creare un ambiente adatto. Per i bambini con Adhd ci sono i gruppi Barkley dove si spiega ai genitori come evitare comportamenti erronei. E c’è anche un ulteriore livello: genitori che, alla luce delle proprie esperienze, aiutano altri genitori. Un esempio attualissimo (inaugurato il 22 settembre a Roma) è il ‘Cohousing Etico e Solidale – Spazi Solari’, nato dall’unione tra un gruppo di genitori di persone con autismo e diverse associazioni: un progetto pilota che può essere da esempio per molte altre realtà, finanziato senza alcun contributo pubblico con circa 1.700.000 euro grazie ai promotori che hanno costituito una impresa sociale ad hoc (Massenzio Etica e Autismo). Qualcosa si muove dunque, forse. Negli ultimi venti anni sono stati presentati numerosi disegni di legge, alcuni per introdurre la figura dello psicologo come consulente nel contesto scolastico, altri per istituire un servizio organico di psicologia scolastica. Senza dubbio l’introduzione di questa figura professionale potrebbe essere uno sbocco occupazionale per tanti giovani che si avviano a lavorare in ambito educativo. Che sia la volta buona?