Una buona notizia per l’Italia che, secondo l’OCSE, è il Paese europeo con il più alto tasso di skill mismatch: finalmente il coding entra nelle scuole a partire dalla primaria. “Una vera svolta verso il terzo millennio” ha commentato Valentina Aprea che ha presentato l’emendamento approvato con larga convergenza dalla commissione Bilancio della Camera.
In ambito pedagogico, il termine coding non significa solo “programmazione”: indica strategie per l’apprendimento del pensiero logico-computazionale: è l’insegnamento di una metodologia di ragionamento per la risoluzione di problemi più o meno complessi attraverso l’acquisizione di strumenti specifici. Aiuta a pianificare, a ragionare, a scoprire che un’attività si può scomporre in tante piccole azioni singole che possono essere scritte come sequenze di istruzioni. Lo studio del coding è già stato inserito nelle scuole dei Paesi più avanzati sul piano tecnologico ed economico, Usa, Cina e India, e di altri Paesi europei, in primis la Gran Bretagna, la Finlandia, l’Estonia per apprendere un processo mentale che ci abitui a pensare in modo diverso, una metodologia di approccio alle problematiche.
In Italia vige ancora lo stereotipo che le studentesse siano meno adatte agli studi matematici e scientifici nonostante le ricerche dimostrino che il livello delle performance dipende dall’esperienza, dall’allenamento, dall’abilità esercitata dal cervello di creare nuove connessioni. Eppure, basterebbe guardare ai risultati: pensiamo per esempio alle donne che hanno raggiunto il Nobel. Nel 2019, è andato ad Esther Duflo il Nobel per l’economia, nel 2018 a Donna Strickland il Nobel per la Fisica, nel 2009 a Elinor Ostrom il Nobel per l’economia. Anche l’Unesco è intervenuto più volte per sollecitare il superamento di questo stereotipo, soprattutto in previsione del fatto che i futuri lavori, al momento per noi ancora immaginabili, prevedano un alto impiego di tecnologie: basti pensare che i bambini che ora sono al primo anno della scuola dell’infanzia concluderanno gli studi superiori nel 2037 e quelli che frequentano la prima classe della scuola primaria nel 2034, quando la società sarà molto diversa da quella odierna.
Un provvedimento, dunque, per affrontare con i giusti strumenti la quarta rivoluzione industriale, termine coniato nel 2016 da Klaus Schwab, il fondatore del Forum economico mondiale, per indicare una rivoluzione tecnologica che avrebbe cambiato il mondo. Abbiamo visto i risultati della prima rivoluzione industriale, iniziata in Gran Bretagna intorno al 1760, che diede vita a nuovi processi di produzione, a fabbriche più grandi, all’industria tessile ed all’urbanizzazione di massa; della Seconda, alla fine del 1800, con l’aumento della produzione di massa causata dall’avvento dell’acciaio, del petrolio e dell’elettricità e le principali invenzioni dell’epoca, dalla lampadina, al telefono, al motore a combustione interna; della terza rivoluzione industriale, la cosiddetta “Rivoluzione Digitale”, nella seconda metà del XX secolo, quando i computer e Internet cambiarono il mondo. Non sappiamo come andrà a finire la quarta, al momento vediamo che “offusca i confini tra le sfere fisica, digitale e biologica”, possiamo solo intuirne i coni di luce e di ombra. Quel che possiamo fare però è attrezzare le nuove generazioni a viverla ed a cavalcarla. Il coding nelle scuole è uno strumento prezioso che l’Italia oggi sta mettendo nelle piccole mani dei nostri studenti. Ai docenti l’onere e l’onore di guidarli verso la costruzione del proprio futuro.