La crescita costante degli utenti social media, superiore a quelli del web, pone un problema che è necessario affrontare sin dagli anni dell’infanzia, dato che il web è un luogo in continua espansione e l’età di chi vi naviga è sempre più bassa. Emerge dunque la necessità di insegnare ai ragazzi, a scuola, l’arte della replica sui social. Non è un dettaglio, ma uno strumento importante per sminare l’odio che gira in rete e le sue conseguenze negative, per gestire il conflitto on line e trasformarlo in opportunità di educazione civica. Commenti violenti, offensivi possono fare danni seri soprattutto a chi è nell’età adolescenziale.
Secondo il Global Web Index la ragione principale per cui gli europei usano i social media è per sapere cosa fanno i loro amici e conoscenti, la seconda è per essere aggiornati su ciò che succede. I Nord Americani invece mettono al secondo posto il desiderio di seguire i news brand cioè i media e le testate di informazione: desiderio che gli europei non mettono tra i principali motivi per seguire i social (dato che si combina perfettamente con la sfiducia nei media raccolta dall’Edelman trust barometer). E’ chiaro che se i social vengono usati per relazionarci con persone che conosciamo, l’effetto di una lite online ricadrà sulla vita offline, o meglio nella onlife, fortunato termine coniato dal professor Luciano Floridi, filosofo italiano direttore di ricerca e professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford (lo stesso che ha coniato l’infosfera, altro neologismo per indicare il nuovo luogo in cui passiamo la maggior parte del tempo attraverso smartphone, tablet e l’Internet of Things). Per Floridi l’Onlife è “la nuova esistenza nella quale la barriera fra reale e virtuale è caduta, non c’è più differenza fra online e offline, ma c’è appunto una Onlife: la nostra esistenza, che è ibrida come l’habitat delle mangrovie”
Non si può certo dire ai ragazzi di non rispondere a nessuno sui social: l’interazione è l’essenza stessa dello strumento. In ogni interazione umana ci sono diversi livelli di incontro e di scontro e sui social spesso si parte dai più estremi. Adelino Cattanei, professore di Teoria dell’argomentazione nell’Università di Padova, ha individuato sei modi per rispondere: si può ignorare; accettare il commento; accettare solo in parte, ignorando le parti più polemiche; mettere in dubbio chiedendo per avere chiarimenti; rifiutare o confutare; attaccare l’altro. Quel che accade nei social è che spesso si parte dagli ultimi due livelli, i più estremi, saltando i primi quattro. È chiaro che se le risposte ai commenti sui social si posizionano sul rifiuto e sull’attacco, l’odio e la violenza in rete ne usciranno sempre più amplificati. Confutare si può, certo, ma con elementi concreti in mano e con la giusta continenza, partendo da ciò che si condivide per poi spostarsi e spiegare cosa non si condivide.
E dopo la confutazione cosa succede? A questo punto due sono le possibili reazioni: o una risposta dell’altro che ne faccia emergere le ragioni, o una risposta aggressiva. Nel secondo caso bisogna ovviamente lasciar perdere, nel primo avremo portato la conversazione su toni più civili. Questo è solo un esempio delle mille tecniche di comunicazione che si possono usare sui social. Individuare lo scopo del commento ricevuto è fondamentale per rispondere: quella persona ha commentato il mio post per dare un contributo alla discussione o per dimostrare la propria posizione? O, ancora, solo per distruggere? Chiaro che nel primo caso si risponde, anche quando il commento contiene critiche o parole forti, lasciando cadere la parte polemica per concentrarsi su quella di contenuto. Bisogna insegnare ai ragazzi a distinguere se nel commento ci siano argomenti oggettivi – cioè una questione osservabile da tutti, esempio commentare un fatto – o soggettivi – cioè una percezione di qualcosa, un commento che viene dall’emotività – o se sia solo una serie di insulti o parole inutili. Ai primi ed ai secondi è giusto rispondere, ai terzi evidentemente no perché, come è noto, le parole qualificano chi le dice, non chi le riceve. DI fronte a critiche violente, parolacce, l’importante è scoraggiare gli interventi distruttivi. Non possiamo rispondere solo ai commenti positivi, ma questi casi, basta scrivere che non si risponde a chi è maleducato.
Il punto è che i nostri ragazzi, che vivono con il cellulare in mano, non possono continuare ad ignorare l’arte della replica e, più in generale, la gestione della comunicazione, la trasformazione del conflitto in opportunità. Il contenitore c’è: dall’anno scolastico 2020/2021, la trasversale educazione civica ha messo l’accento sulla cittadinanza digitale e sulle competenze critiche nell’uso dei social media. Speriamo che nel nuovo anno ci si inserirà anche il contenuto pratico.