L’idea era quella di una call per realizzare 212 nuove scuole da finanziare con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Di progetti, al ministero dell’Istruzione – che ha indetto il concorso d’idee con il supporto del Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori – ne sono arrivati ben 1.737. La notizia è buona per diversi motivi. Primo: molto spesso negli uffici tecnici dei Comuni, proprietari delle scuole di primo grado, e delle Province, proprietarie delle scuole di secondo grado, non si ha la benché minima idea, e spesso neanche l’interesse, di cosa sia l’architettura scolastica. E, soprattutto, di quanto sia andata avanti negli ultimi decenni, delle tendenze innovative e degli indirizzi internazionali nella progettazione di scuole per rispondere alle sfide del terzo Millennio. La realtà è che spesso ingegneri ed architetti, negli uffici tecnici, sono allenati ad affrontare questioni di fognature, urbanistica, strade, patrimonio urbano, espropri ma non hanno idea di come debbano essere fatti degli spazi di apprendimento per la scuola di oggi. E lo dimostra il fatto che spesso i lavori nelle scuole vengono fatti senza chiedere ai dirigenti scolastici quali siano i bisogni della scuola, cioè della didattica.
Come se avere quattro scatole chiamate aule bastasse a fare lezione, anche senza palestre e laboratori, come spesso accade al sud dove ci sono ancora scuole in appartamenti privati in piena zona sismica. Per non parlare della possibilità di moduli, pareti che si spostano, ragazzi che migrano da una parte all’altra a seconda dell’impostazione della didattica.
Il secondo motivo per cui la notizia è buona è che inizia a farsi spazio nella realtà la cultura dell’architettura scolastica come nuova idea di scuola. Le scuole verranno edificate a partire dai principi contenuti nel documento “Progettare, costruire e abitare la scuola”, elaborato da un gruppo di lavoro, composto da grandi architetti, pedagogisti ed esperti della scuola, voluto e istituto dal Ministro Patrizio Bianchi. Finalmente!
Il terzo motivo è facile da intuire: il bando è scaduto il 25 agosto e, nonostante i mesi estivi caldissimi, ha ottenuto grande partecipazione. Questo significa che architetti ed ingegneri hanno lavorato in piena estate per partecipare al concorso di idee, segno che, come ha commentato il ministro “la voglia che c’è, nel Paese, di partecipare ai processi di innovazione e alla grande opportunità riformista offerta dal PNRR”.
Quarto motivo: in meno di un mese dalla scadenza il Ministero dell’Istruzione ha provveduto alla nomina delle 20 commissioni giudicatrici, suddivise su base regionale, che valuteranno le 1.737 candidature pervenute per le 212 aree. Ovviamente, sono composte da architetti, ingegneri, iscritti ai rispettivi ordini professionali, docenti universitari e ricercatori di enti di ricerca e fondazioni che si occupano di scuola, professionisti e dirigenti di pubbliche amministrazioni. E sono al lavoro già dal 1° settembre: accedono on line ai progetti e li valutano. Prossimi step: il 7 ottobre il Ministero pubblicherà i codici dei progetti migliori per ogni area (massimo cinque). Alla fine, il progetto migliore per ogni area riceverà un premio e diventerà di proprietà degli enti locali beneficiari che provvederanno ad affidare le fasi successive della progettazione e i lavori. Gli interventi previsti riguardano scuole dei diversi ordini, per uno stanziamento complessivo di un miliardo e 189 milioni di euro (il 42,4% dei fondi va al sud). Da notare che aree, tra le 212 già individuate, che hanno ottenuto più candidature di proposte ideative delle nuove scuole sono i comuni di Piove di Sacco, Lugagnano Val D’Arda, Alfonsine e Fidenza. Quinto motivo: i criteri scelti per la valutazione dei progetti. La qualità architettonica della proposta, con riferimento alla didattica e alla relazione tra ambiente esterno e interno alla scuola; la funzionalità e flessibilità nella definizione e distribuzione degli spazi scolastici, con riferimento alle metodologie didattiche innovative; la sicurezza, con particolare riferimento agli aspetti anti sismici; la sostenibilità ambientale ed economica; l’accessibilità e il dimensionamento dell’edificio per il relativo grado di istruzione, considerato il numero delle studentesse e degli studenti beneficiari dell’intervento. Tra questi punti, spicca ovviamente il secondo: “la funzionalità e flessibilità nella definizione e distribuzione degli spazi scolastici, con riferimento alle metodologie didattiche innovative”. E’ un criterio importantissimo e fa piacere vedere finalmente inserito tra i criteri di valutazione dei progetti: significa che finalmente si è preso atto del fatto che per avere scuole aperte al territorio, sicure, accoglienti, bisogna pensarle – quindi progettarle, prima ancora di costruirle – per una nuova didattica: deve essere nel DNA fisico della struttura architettonica la presenza di spazi progettati anche per le tecnologie ed in particolare per la dotazione di dispositivi di ultima generazione come i panel interattivi touch screen. Forse per la prima volta in Italia, si sta pensando prima al contenuto e poi al contenitore, si sta partendo con “cosa serve oggi dentro una scuola?” per superare il tradizionale modello scolastico ad “aule e corridoi” e proporre soluzioni che tengano conto degli esiti della ricerca in campo educativo e di standard di qualità in termini di benessere. “Cucire” spazi di apprendimento attorno a tali esigenze significa far diventare la scuola un abito adatto per i ragazzi di oggi e di domani, un tessuto flessibile per i loro allenamenti, privo di quelle rigide cuciture di rattoppo inadeguato che provocano ferite anche fisiche. In Italia abbiamo circa 8mila scuole. A confronto 212 nuove scuole sono poche? Forse sì, ma almeno si inizia.