Le tecnologie e la pedagogia della domanda

Published: Marzo 5th, 2021

Le tecnologie sanno rispondere ma non sanno domandare. Lo disse, diversi anni fa, Marshall McLuhan, ponendosi la questione dell’educazione in relazione ai nuovi media. Attorno a questa riflessione si possono aprire oggi grandi scenari, sia per chi costruisce gli strumenti innovativi per la didattica sia per chi li usa o li deve fare usare.

Una pedagogia della domanda. È sotto gli occhi di tutti: giorno dopo giorno si sviluppano strumenti sempre più innovativi e complessi. Per il loro uso è però necessaria una pedagogia della domanda, in altre parole, spingere i ragazzi a porsi domande, a cercare. Banalmente, pensiamo ai motori di ricerca. Su Google si può trovare di tutto, è vero, ma a patto di saper porre la domanda in modo corretto. E come si può porre una domanda se prima non l’abbiamo pensata, se non siamo mossi da una curiosità forte che ci spinga a cercare? Incentivare la curiosità degli studenti è un compito fondamentale della scuola dei nostri giorni. Abbiamo in mano strumenti che ci possono offrire una risposta a qualunque domanda ci venga in mente. Il punto è: ci viene in mente la domanda?

La curiosità. Le neuroscienze hanno dimostrato che se si riesce a collegare l’apprendimento alle emozioni positive, quindi alla sorpresa, al divertimento, alla gioia, si stimola quella che Berlyne, nel lontano 1960, chiamò “curiosità epistemica”. In altre parole si stimola il sistema dopaminergico e cosi si lega l’apprendimento ad un processo di ricompensa che si basa non su gratificazioni esterne, come un buon voto, ma su un’emozione di piacere personale. La spiegazione è evidente nelle immagini di risonanza magnetica funzionale che ci mostra come funziona la curiosità all’interno del nostro cervello: attiva gli stessi circuiti dopaminergici innescati da cibo, droghe e denaro.  Risultato confermato un paio di anni fa in una ricerca sulla scienza della curiosità condotta dalla Haas School of Business dell’Università della California-Berkeley.

Le cinque dimensioni della curiosità. Che la curiosità acuisca l’intelligenza e l’energia fisica e mentale è ormai un fatto consolidato. Nel mondo della psicologia si sono alternate teorie contrapposte sulla curiosità. Oggi non è più considerata una caratteristica unitaria ma pentadimensionale che comprende la teoria sviluppata nel ’94 da George Lowenstein, che partendo dalle intuizioni di Berlyne, teorizzò che le persone diventano curiose quando realizzano di avere un “gap informativo” cioè quando capiscono di non avere le conoscenze desiderate; quella sviluppata negli anni ’70 da Edward Deci che, facendo ricerca nell’ University of Rochester individuò una motivazione intrinseca a mettersi alla prova; quella dello psicologo Martin Zuckerman che studiò, nell’università di Delaware la ricerca di sensazioni forti; e quella di Britta Renner, che nell’Università di Costanza ha studiato la curiosità sociale nei confronti degli altri. Unendo tutti questi approcci, il modello pentadimensionale di Todd B.Kashdan, David J.Disabato, Fallon R.Goodman e Carl Naughton individua cinque dimensioni della curiosità: il sollievo nel superare un gap di conoscenza, l’esplorazione gioiosa, la curiosità sociale, la tolleranza allo stress (quarta dimensione nata dalle ricerche di Paul Silvia nell’università del North Carolina di Greensboro) e la ricerca di emozioni (quinta dimensione, ispirata da Zuckerman). Curiosità si lega a quel che papa Francesco definisce il “discernimento”: “Lasciare venire su le domande, senza anestetizzarle”. E le domande devono riguardare anche le risposte che troviamo in rete: distinguere le fake news che rendono tanto vulnerabile la nostra società dell’informazione, individuare le manipolazioni commerciali o di pensiero, attivare la mente. È fondamentale in un mondo in cui la scuola ha perso, ormai da anni, il primato della trasmissione della cultura. È talmente fondamentale che i governi, sia a livello europeo che nazionale, stanno mettendo a punto strategie ad hoc per combattere la disinformazione ed educare alla cittadinanza digitale per un uso appropriato di media e tecnologia.

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